In questo articolo osserveremo nel dettaglio il caso specifico di un immobile senza certificato di agibilità.
Il certificato di agibilità (o abitabilità) è un documento chiave perché un immobile sia in regola urbanisticamente. Una volta “agibilità” e “abitabilità” non erano termini interscambiabili: l’abitabilità perteneva immobili residenziali, l’agibilità era concessa per tutti gli altri tipi di immobile.
Nel 2001, il nuovo Testo Unico dell’Edilizia ha riassunto nell’unico “certificato di agibilità” I due diversi documenti.
Nel 2016 anche il certificato di agibilità è stato sostituito dalla “SCA” (Segnalazione Certificato di Agibilità), che si distingue dai precedenti certificati perché non comporta la richiesta d’ottenimento al comune, ma consiste in un’autocertificazione da parte del Direttore dei lavori o di un altro tecnico, che possa attestare la conformità ai requisiti di legge.
All’articolo 24 del testo unico dell’Edilizia, in cui sono stabilite le condizioni irrinunciabili e necessarie per abitare un immobile, leggiamo: “sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, e, ove previsto, di rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale”.
Per ottenere il certificato di abitabilità importa la chiusura della pratica edilizia, la certificazione degli impianti e l’effettuazione di un collaudo statico e di regolare accatastamento.
Se un immobile dovesse venire venduto senza certificato di agibilità, cosa accadrebbe? È questo un grave inadempimento tale da risultare nella risoluzione del contratto? Di più, in quale caso non consegnare il certificato realizza una ipotesi di aliud pro alio?
Per rispondere a queste domande, ecco una sentenza del Tribunale di Novara (n.60, 31/01/23).
Si tratta di un immobile privo del certificato di agibilità e di una domanda di risoluzione del contratto di compravendita.
La vicenda
L’acquirente di un immobile espone di avere riscontrato, a distanza di tempo, che l’immobile sia affetto da difetti di manutenzione (trattasi di infiltrazioni, muffe, stillicidio, sgretolamento dei trucioli di legno dal soffitto) e che ciò sia stato accertato dalla perizia di un professonista, il quale di più ha rilevato la mancata impermealizzazione del tetto, delle irregolarità degli impianti elettrici e del gas, la presenza di infiltrazioni e la probabile insistenza di amianto. L’acquirente ha rappresentato, inoltre, che l’ingegnere incaricato aveva assegnato una classe energetica diversa da quello certificata, nonché, nel contesto di ricerche presso il Comune competente, che non erano reperibili le certificazioni di conformità degli impianti elettrici e del metano e che non è presente alcun certificato di abitabilità dell’immobile.
L’attrice, quindi, ha richiesto l’accertamento dell’inesistenza del certificato di agibilità dell’immobile acquistato nel 2014 nonché la risoluzione del contratto per grave inadempimento del venditore, la resistuzione dell’importo versato (con aggiunta degli oneri di estinzione del mutuo) e il risarcimento del danno patrimoniale.
La parte convenuta si è costituita in giudizio, adducendo l’esistenza di un accordo tra le parti, in virtù del quale l’acquirente si sarebbe fatto carico del conseguimento del certificato di abitabilità dell’immobile.
Per un immobile privo di agibilità quindi vale la risoluzione del contratto di compravendita soltanto in caso non ci siano le condizioni per ottenere il certificato.
Il Tribunale ha ritenuto non sussistente una gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto.
Soltanto non nel caso in cui non ci siano le condizioni per conseguire il certificato, per via di violazioni insanabili delle disposizioni urbanistiche, si verifica un inadempimento idoneo alla risoluzione della compravendita, nelle altre ipotesi, invece, l’omissione del venditore è da valutare in relazione alla gravità e all’importanza dell’inadempimento.
L’articolo 1455 c.c. impone la verifica dell’entità dell’inadempimento, perché deve il giudice tenere conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento e, allorché manchi il certificato d’agibilità, verificare se i difetti rilevati incidano sulla destinazione abitativa e solo in questo caso dichiarare risolto il contratto.
Nel caso specifico, grazie agli accertamenti del Ctu è risultato che il rilascio dell’agibilità fosse rilasciabile in modo agevole con la realizzazione di interventi di modesto impegno economico.
I vizi che ostano al rilascio erano tutti minimali e regolarizzabile e nessun difetto sotto il profilo strutturale sussisteva: l’ipotesi dell’ “aliud pro alio” non si è concretata.
Ai sensi dell’art. 1453 c.c. fuori dai vincoli dei termini di decadenza e prescrizione secondo l’art. 1495 c.c., l’ “aliud pro alio” si realizza nel caso in cui il bene venduto differisca sostanzialmente da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente inidoneo a fornire l’utilità richiesta, ovvero ad assolvere alla stabilita destinazione economico-sociale.
Sussisteva, dunque, l’inadempimento del convenuto rispetto al proprio obbligo di alienare un bene fornito di certificato di agibilità, in quanto impossibile da ottenere per l’acquirente nello stato in cui l’immobile era stato venduto per le carenze esistenti, quantomeno rispetto all’impianto del gas. Cionondimeno, la pronta realizzazione degli interventi necessari alla certificazione di agibilità ha risultato nel rigetto della domanda di risoluzione del contratto poiché non sorretta da inadempimento qualificabile come grave.
Il Tribunale ha quindi suggerito che sia possibile per l’attrice ottenere tutela agendo per l’adempimento ovvero chiedendo di essere risarcita dei costi per gli interventi utili all’ottenimento del certificato di abitabilità e all’avvio della pratica relativa; domanda in quella sede non formulata in quanto si è agito unicamente per la risoluzione.